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- Storage, nuove frontiere: Capitano, tutti a bordo!
L’innovativo progetto di una chiatta energetica galleggiante nelle Filippine integra con successo generazione di energia e tecnologia marina. Proiettate come tutti (o quasi) verso la decarbonizzazione, anche le Filippine mirano ad aumentare la capacità energetica rinnovabile. Per una nazione che – ancora nel 2017 ricavava la propria energia da carbone e petrolio (rispettivamente il 27 e il 34 per cento), raggiungere questi obiettivi di sostenibilità comporta anche investimenti nello sviluppo di tecnologie a supporto della stabilità del sistema elettrico. L’aumento della domanda di elettricità e la crescita della generazione rinnovabile rischiano infatti di mandare in crisi i sistemi elettrici, che dovranno affrontare overgeneration e mancanza di programmabilità. Per garantire la sicurezza e la continuità del servizio, ecco che l’accumulo diventa un elemento imprescindibile. Ma uno storage galleggiante è un idea veramente elettrizzante! In funzione già dalla seconda metà del 2021, la chiatta energetica galleggiante di Wärtsilä sarà in assoluto la prima realizzazione di questo tipo nella regione del sud-est asiatico. Installata nel comune di Maco, nella provincia di Davao de Oro, la chiatta prevede un sistema di stoccaggio dell’energia da 54 MW 32 MWh e sarà posizionata accanto all’attuale chiatta termica della Therma Marine Inc. (TMI), per un totale di 100 MW. Grazie a dieci sistemi Wärtsilä GridSolv Max, supportati dall’avanzata piattaforma di gestione dell’energia GEMS, questa soluzione fornirà flessibilità per TMI che ha un contratto di servizio accessorio con la National Grid Corporation delle Filippine. “Generazione di energia e tecnologia marina - ha dichiarato Kari Punnonen, Energy Business Director Wärtsilä Australasia - sono integrati con successo nelle nostre soluzioni di chiatte a motore, ideali per la produzione di energia su base temporanea. Possono infatti essere collegate alla rete per alleviare le carenze di energia locale, dove e quando necessario, e possono essere facilmente trasferite”. Progettata per un’installazione e un’integrazione semplificate, la chiatta elettrica galleggiante consente una rapida fornitura di elettricità ad aree con infrastrutture limitate ed è un bene mobile, che consente la delocalizzazione o il commercio. “In questa nuova era della generazione di energia - ha affermato Ville Rimali, Business Development Manager di Wärtsilä Philippines sono necessarie centrali elettriche flessibili che possano avviarsi in pochi minuti. Con le nostre tecnologie forniamo soluzioni di bilanciamento che danno maggiore flessibilità al sistema”.
- Come rompere il ghiaccio: il trasporto di LNG nelle acque artiche
Da alcuni anni quello del riscaldamento globale è un tema molto presente nei dibattiti politici. Le temperature in aumento a causa della CO2 in atmosfera non solo infiammano gli animi, ma fanno anche ribollire l’acqua: gran parte del calore, infatti, viene assorbito dagli oceani causando tra l’altro lo scioglimento dei ghiacci polari. Una vera doccia fredda, o piuttosto in questo caso calda… A quanto pare, però, non tutto il mare viene per nuocere. Con l’aumento delle temperature nell’Artico e lo sviluppo dei tanker si è aperto – o si può dire sciolto – un canale commerciale per il trasporto di LNG dalla Siberia verso lo stretto di Bering. In pratica una scorciatoia che costeggia la Russia in tutta la sua lunghezza e che assicura il contatto con i mercati europei e asiatici. Una vera strada per Eldorado in mezzo ai ghiacci. Non è la prima volta che si cerca un passaggio nell’Artico per raggiungere velocemente Europa e Asia: molti ci hanno provato nel corso del tempo ma oggi i tanker sono in grado di farsi largo tra lastre di ghiaccio spesse anche due metri e di viaggiare tutto l’anno, seppur con qualche difficoltà nel periodo invernale. Per trovare l’LNG non si è dovuti andare lontano: la penisola siberiana dello Yamal e le sue vaste riserve di gas sono proprio di strada, come racconta l’Economist. Novatek, la compagnia russa che possiede i diritti per lo sfruttamento dei giacimenti, allettata dall’aumento della domanda dei mercati asiatici, a gennaio di quest’anno ha finanziato tre spedizioni di tanker classe Arc-7, in grado di rompere il ghiaccio e alimentati con lo stesso gas che trasportano – quindi decisamente meno inquinanti rispetto alle navi tradizionali. La Russia è diventata parecchio sensibile al tema della sostenibilità ambientale dopo l’incidente con la Nornickel, società mineraria e metallurgica. Non una società russa qualsiasi, ma la principale produttrice al mondo di nickel e palladio che lo scorso anno, causa una perdita di gasolio, si è ritrovata a dover pagare una multa da capogiro: quasi 1,7 miliardi di euro. È la sanzione più alta mai imposta ad un’azienda russa per danni ambientali. Quindi meglio il gas naturale liquefatto, che in caso di impatto tra il tanker e il ghiaccio in stile Titanic evapora... senza troppi spargimenti di olio! Con la rotta artica si registra anche un bel risparmio di tempo: la Northern Sea Route (NSR) consente di raggiungere i porti europei e asiatici risparmiando 4.000 miglia (circa 7.400 chilometri) rispetto alla rotta del canale di Suez. 10 giorni in meno in mare. Nei progetti Novatek i tanker classe Arc-7 si occuperanno del trasporto dal terminal di Sabetta in Yamal verso due nuovi hub previsti nei pressi di Murmansk, a ovest, e in Kamchatka, a est. Grazie alla vicinanza con i Paesi scandinavi, Murmansk apre al mercato europeo, mentre la Kamchatka assicura un collegamento con i mercati asiatici. Dagli hub partiranno tanker standard, più economici e sprovvisti dei rinforzi per il ghiaccio, verso l’Europa e l’Asia. Sempre secondo quanto riportato dall’Economist, le riserve in Yamal potranno fornire almeno 70 milioni di tonnellate di gas naturale ogni anno, e con l’affollamento del canale di Panama e di Suez la nuova Northern Sea Route per l’LNG comincia a far gola anche ad altri Stati. Peccato che per ora il transito sia consentito solo con il benestare russo; con buona pace degli americani che richiedono invece circolazione libera per tutti. Comunque sia, anche se l’investimento artico non dovesse ripagare, per la Russia c’è sempre il mercato domestico: solo il 70 per cento del Paese è raggiunto dalla rete gas. Matilde Rosini
- 2020 “l’anno migliore di sempre” per l’eolico: 93 GW di nuova capacità installata
Secondo il Global Wind Report 2021, la relazione annuale del Global Wind Energy Council (GWEC) giunta alla sedicesima edizione, il 2020 è stato l’anno migliore di sempre per l’industria eolica mondiale, con un record di 93 GW di nuova capacità installata e un incremento del 53 per cento su base annua. La capacità totale di energia eolica è oggi pari a 743 GW, per il 95 per cento da impianti onshore, e ha permesso di evitare oltre 1,1 miliardi di tonnellate di CO2 l’anno, equivalenti alle emissioni annuali di carbonio dell’intero Sud America. Crescita record che è stata trainata da un’impennata di installazioni in Cina e Stati Uniti, che insieme rappresentano il 75 per cento delle nuove installazioni del 2020 e coprono oltre la metà della capacità eolica totale del mondo. Una crescita che però, secondo il GWEC, non è sufficiente per raggiungere il target di emissioni zero entro il 2050. Secondo le stime del Global Wind Energy Council, infatti, nei prossimi cinque anni avremo 469 GW di nuova capacità eolica installata, mentre servirebbero 180 GW ogni anno per limitare il riscaldamento globale al di sotto dei 2 °C rispetto ai livelli preindustriali e fino a 280 GW di nuova capacità l’anno per mantenere un percorso che possa portare al raggiungimento dello zero netto entro il 2050.
- Solare, eolico e... bus elettrici! IRENA traccia la strada green ad Antigua e Barbuda
La maggior parte dei piccoli Stati insulari in via di sviluppo (SIDS - Small Island Developing States) utilizza ancora in gran parte i combustibili fossili per la generazione elettrica e per il trasporto. Antigua e Barbuda, nelle Antille, non fa differenza. Ma per salvaguardare l’ambiente e migliorare lo sviluppo economico, ha deciso di puntare su un maggiore sviluppo delle fonti rinnovabili chiedendo aiuto a IRENA. Su richiesta del Ministero della Salute, del Benessere e dell’Ambiente, infatti, l’Agenzia Internazionale per le Energie Rinnovabili (IRENA) ha realizzato la Antigua and Barbuda: Renewable energy roadmap per accompagnare il piccolo Stato dell’oceano Atlantico a raggiungere il 100 per cento di energia rinnovabile entro il 2030, in accordo con gli obiettivi fissati dall’accordo di Parigi. La roadmap, nella quale sono stati analizzati cinque scenari, prevede lo sviluppo su scala industriale del solare fotovoltaico, dell’eolico e dell’idrogeno verde. Inoltre, viene auspicato anche un progressivo incremento dei veicoli elettrici, con l’obiettivo di giungere entro il 2040 ad avere un settore dei trasporti rinnovabile al 100 per cento. In questo contesto, il Governo italiano nel 2020 ha donato due autobus elettrici che verranno utilizzati per completare la flotta di scuolabus ad Antigua.
- Svizzera, quale futuro energetico al 2050?
Tutti i Paesi stanno mettendo in atto politiche energetiche per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione. Ma le azioni intraprese saranno sufficienti a raggiungere il traguardo “zero emissioni” al 2050? È quanto hanno voluto valutare relativamente alla Svizzera i ricercatori del Paul Scherrer Institute (PSI), il più grande istituto di ricerca elvetico. Finanziato da Innosuisse, l’Agenzia svizzera per l’innovazione, lo studio si basa su calcoli effettuati con il Swiss Times Energy System Model (STEM) del PSI, che mappa l’intero sistema energetico della Svizzera, comprese le varie interazioni tra tecnologie e settori, valutando anche il costo per il raggiungimento dell’obiettivo. Partendo dal presupposto che le centrali nucleari svizzere saranno disattivate a partire dal 2045, l’analisi prevede che per traguardare gli obiettivi ci sarà un aumento significativo del consumo di elettricità che, nel 2050, potrebbe essere di circa 20 TWh maggiore di quello attuale. Per i ricercatori del PSI quindi, da qui al 2050, la capacità installata degli impianti fotovoltaici deve almeno raddoppiare ogni decennio. Con 26 TWh di produzione previsti nel 2050, i sistemi fotovoltaici saranno il secondo gruppo tecnologico di generazione dopo l’energia idroelettrica (circa 38 TWh nel 2050). Inoltre, la produzione complessiva da centrali elettriche e impianti di stoccaggio aumenterà di circa un quinto, raggiungendo 83 TWh nel 2050. Oltre al settore della produzione di energia, nella partita per la decarbonizzazione giocheranno un ruolo importante i trasporti e l’industria ad alta intensità energetica, che offrono prospettive per nuove applicazioni dell’idrogeno. Allo stesso tempo, sarà necessario ottenere significativi risparmi energetici attraverso una riqualificazione degli edifici residenziali. “Se la Svizzera vuole raggiungere l’obiettivo di zero emissioni entro il 2050 - sostiene Evangelos Panos, uno degli autori dello studio - in futuro le emissioni di CO2 dovranno essere ridotte ogni anno in media da uno a un milione e mezzo di tonnellate rispetto all’anno precedente; e più dei due terzi grazie a tecnologie già disponibili in commercio o in fase di sperimentazione”. Ad oggi le emissioni di CO2 da processi industriali rappresentano circa l’80 per cento del totale dei gas serra emessi dallo Stato elvetico e la cattura della CO2 si rivela necessaria per attuare la riduzione delle emissioni in modo efficiente in termini di costi. Difficile, secondo i ricercatori del PSI, definire invece i costi che dovranno sostenere i cittadini, in quanto molte sono le componenti in gioco. Osservando tutti gli scenari esaminati, lo studio arriva però a delineare un intervallo di costi medi compreso tra 200 e 860 franchi svizzeri per persona ogni anno. La ricerca è stata condotta nell’ambito dell’attività congiunta Scenari e Modellazione degli otto Centri svizzeri di competenza per la ricerca energetica (SCCER, Swiss Competence Centres for Energy Research), in cui sono coinvolte tra gli altri la Lucerne University of Applied Sciences and Arts, l’Università di Basilea e l’Università di Ginevra.
- Dai fanghi energia termica, biometano e fertilizzanti. In una parola, economia circolare!
È un impianto innovativo, unico in Italia nel suo genere. È la Biopiattaforma del Gruppo CAP, un progetto del valore di oltre 47 milioni di euro che unisce in un unico impianto un termovalorizzatore e un depuratore. Finalmente qualcosa si muove, verrebbe da dire. Il Green Deal europeo ha indicato obiettivi e suggerito strade; PNIEC e PNRR ne hanno raccolto le sfide e dato gli strumenti per raggiungere la decarbonizzazione e la piena sostenibilità ambientale. E cosa c’è di meglio di un uso efficiente delle risorse per un’economia pulita e circolare in uno dei territori più densamente abitati della Pianura padana? La Biopiattaforma, unico termovalorizzatore autorizzato e realizzato in Italia negli ultimi 10 anni, ha un design e una tecnologia avveniristica e sarà anche la sede di un polo di ricerca avanzata che parteciperà a Circular Biocarbon, il progetto Horizon 2020 co-finanziato dall’Unione Europea. Il Gruppo CAP accelera nella realizzazione di questa infrastruttura innovativa che valorizzerà oltre 65.000 tonnellate di fanghi prodotti ogni anno dai 40 depuratori presenti nel territorio della Città metropolitana. “Quello che faremo nascere - ha dichiarato Alessandro Russo, presidente e AD del Gruppo CAP - è un impianto all’avanguardia, che intende rispondere alle istanze europee in fatto di energia e ambiente e che può rappresentare per le altre regioni italiane un esempio da seguire. Soprattutto alla luce del grande percorso di rilancio che il Paese si appresta a intraprendere grazie ai fondi del Next Generation EU”. La nuova struttura avrà due linee produttive: la prima dedicata al trattamento dei fanghi derivanti dalla depurazione delle acque, per la produzione di energia termica e fertilizzanti; la seconda di digestione anaerobica per il trattamento dei rifiuti umidi (FORSU), per la produzione di biometano. La linea “fanghi”, prima linea produttiva che sarà operativa da ottobre 2022, valorizzerà 65.000 tonnellate/anno di fanghi umidi, pari a 14.100 tonnellate/anno di fanghi prodotti dai depuratori del Gruppo CAP, generando 11.120 MWh/anno di calore per il teleriscaldamento e fosforo come fertilizzante. In particolare, il 75 per cento dei fanghi verrà trasformato in energia e il 25 per cento in fertilizzante. La seconda linea produttiva, “FORSU”, tratterà 30.000 tonnellate/anno di rifiuti umidi per la produzione di biometano e servirà al momento 5 comuni lombardi: Sesto San Giovanni, Pioltello, Cormano, Segrate e Cologno Monzese. Un progetto che ha visto il pieno coinvolgimento dei cittadini e delle associazioni locali attraverso il BiopiattaformaLab e che li vedrà parte attiva nel monitorarne l’attività attraverso il R.A.B. (Residential Advisory Board). “L’accordo firmato oggi - sottolinea Alessandro Russo - rappresenta il coronamento di un percorso che sancisce il rapporto di continuità e condivisione instaurato con il territorio e le sue istanze, un dialogo reso possibile dal percorso partecipativo intrapreso due anni fa nella fase iniziale dell’iter progettuale”. Il Gruppo CAP, società pubblica che gestisce il servizio idrico integrato della Città Metropolitana di Milano, fornisce acqua potabile a 2,5 milioni di abitanti e ha una politica integrata sulla gestione dei fanghi avvalendosi di tutte quelle tecnologie necessarie alla loro riduzione, alla valorizzazione degli elementi che li costituiscono e, solo per i fanghi non recuperabili come fertilizzanti, al trattamento termico. Il 60 per cento dei fanghi in ingresso alla Biopiattaforma subiscono una fase di digestione anaerobica per il recupero di biogas/biometano già nei depuratori di origine. Grazie alla Biopiattaforma si otterrà quindi biometano dalla digestione anaerobica, fertilizzanti di alta qualità dalla digestione anaerobica e calore dalla depurazione delle acque. Le acque di depurazione saranno invece recuperate e riutilizzate per l’irrigazione dei parchi o per usi industriali. In una parola: economia circolare. Massimo Ventura
- Geotermia, 5 miliardi di dollari per il Kenya
Nell’ambito del Geothermal Risk Mitigation Facility, istituito per facilitare e accelerare lo sviluppo geotermico nell’Africa orientale, la Geothermal Development Corporation (GDC), società di proprietà statale, ha ottenuto un finanziamento di circa 5 milioni di dollari per iniziare l’esplorazione del Paka Geothermal Project a Baringo, nel nord-ovest del Kenya. In base all’accordo, GDC perforerà due pozzi geotermici e i fondi ottenuti andranno a coprire circa il 40 per cento del costo totale di perforazione e il 20 per cento del costo totale di sviluppo dell’infrastruttura. Il Paka Geothermal Project, nella vasta provincia geotermica di Baringo-Silali, secondo la Geothermal Developmnet Corporation contribuirà con 100 MW al suo obiettivo strategico di sviluppo geotermico di 1.065 MW entro il 2030. Lanciato nel 2012, il Geothermal Risk Mitigation Facility (GRMF) è stato costituito dalla Commissione dell’Unione africana (AUC), dal Ministero federale tedesco per la cooperazione e lo sviluppo economico (BMZ) e dal Fondo fiduciario per le infrastrutture UE-Africa (EU ITF). A oggi il Kenya ha 745 MW di capacità geotermica installata.
- La Nuova Zelanda accelera sull’elettrificazione dei processi industriali
Il riscaldamento è una delle principali cause dell’emissione di gas climalteranti. Per ridurre l’inquinamento prodotto dalle caldaie industriali alimentate a combustibili fossili la neozelandese Meridian Energy, società di energia rinnovabile partecipata al 51 per cento dallo Stato, ha lanciato un nuovo programma di elettrificazione. Ai clienti industriali che utilizzeranno l’elettricità, con il Process Heat Electrification Program la società fornirà contratti di elettricità a lungo termine e a prezzi altamente competitivi. Secondo la Meridian, questa combinazione offerta dal programma può essere la chiave per ridurre le emissioni di carbonio di 100.000 tonnellate l’anno. “L’elettrificazione del calore di processo - ha dichiarato Neal Barclay, CEO di Meridian Energy - è un passo enorme che dobbiamo compiere per passare a un’economia a basse emissioni in Nuova Zelanda. È un programma rivoluzionario in aiuto alle aziende, che altrimenti avrebbero difficoltà a causa del nuovo investimento di capitale richiesto”. Il calore di processo rappresenta il 34 per cento del consumo energetico totale della Nuova Zelanda e genera 8,5 milioni di tonnellate di emissioni di carbonio ogni anno.
- L’Albania punta sul GNL
Per migliorare la sicurezza e l’approvvigionamento energetico, oggi in gran parte affidato alle sue centrali idroelettriche, l’Albania punta sul gas naturale liquefatto. Il Ministero delle Infrastrutture e dell’energia albanese ha infatti siglato un memorandum d’intesa con le società americane Excelerate Energy e ExxonMobil LNG Market Development per condurre uno studio di fattibilità per un progetto di gas naturale liquefatto nel porto di Valona, nel sud dell’Albania. In particolare, lo studio valuterà la possibilità di una soluzione integrata che include lo sviluppo di un terminale di importazione di GNL, la conversione o l’espansione della centrale termica esistente a Valona e la creazione di una distribuzione di GNL su piccola scala in Albania e nella regione balcanica circostante. Il gas naturale liquefatto rappresenta infatti una soluzione affidabile per integrare la produzione di energia idroelettrica a servizio dei quasi tre milioni di abitanti del Paese. “La diversificazione e il miglioramento della sicurezza dell’approvvigionamento - ha dichiarato Belinda Balluku, ministro delle Infrastrutture e dell’energia - sono cruciali per l’Albania e anche per i nostri vicini balcanici. Siamo fiduciosi che il GNL possa essere la chiave per raggiungere questi obiettivi strategici”. Il rapporto di pre-fattibilità dovrebbe essere consegnato nel terzo trimestre del 2021, mentre l’avvio del progetto di importazione di GNL potrebbe avere inizio nel 2023.
- Il futuro energetico della Polonia? È il nucleare
Nell’ambito dei programmi di decarbonizzazione, il governo polacco ha approvato una nuova politica energetica al 2040 (PEP2040) che mira a ridurre progressivamente la quota di carbone nel mix di generazione di elettricità del Paese, che ancora nel 2018 - secondo Eurostat - rappresentava il 76 per cento. Per sostituire l’attuale apporto del carbone, la PEP2040 prevede la realizzazione di 6-9 GW di capacità di generazione nucleare, ritenuta essenziale per soddisfare la crescente domanda di energia e garantire un approvvigionamento costante. Nell’ambito di un accordo intergovernativo tra i governi degli Stati Uniti e della Polonia relativo alla cooperazione per lo sviluppo del programma nucleare civile, Westinghouse Electric Company ha annunciato l’intenzione di investire nello sviluppo del progetto nucleare polacco, che si stima possa creare più di 2.000 posti di lavoro. “Dobbiamo affrontare la sfida di costruire un nuovo sistema energetico nei prossimi due decenni - ha dichiarato Michał Kurtyka, ministro del Clima e dell’Ambiente - per dare impulso al perseguimento di una trasformazione a basse emissioni dell’economia polacca e garantire nel contempo la sicurezza energetica”.
- Digitalizzazione e sostenibilità, un must have del Pnrr italiano
Sanare il gap tecnologico del Sistema Paese e, nel medio termine, riconvertire le produzioni verso modelli più sostenibili, gli unici destinati a ripagare l’investimento e a far ritornare competitivi. La proposta dei manger per uscire dalla crisi. Ormai nei diversi Stati del Vecchio Continente non si parla (quasi) d’altro che dei fondi europei per la ripresa post-Covid. Anche perché ad aprile scade il termine ultimo per la consegna alla Commissione dei singoli Piani degli Stati membri, per essere valutati e (speriamo bene!) approvati. Il nostro Pnrr - Piano nazionale di ripresa e resilienza, si articola su 6 aree tematiche di intervento (digitalizzazione, transizione ecologica, istruzione…) per un investimento totale di oltre 200 miliardi di euro. Mica pizza e fichi. Le 6 missioni elencate nel Piano illustrano la strategia top-down immaginata dal governo italiano per la ripresa del Paese e delle imprese. Ma cosa ne pensano le aziende, quali sono le strategie per loro importanti? Federmanager si è interessata all’opinione di chi il Pnnr lo vedrà applicato direttamente, chiedendo a oltre 2.000 manager quali dovranno essere le priorità degli investimenti europei. I risultati dell’indagine, condotta attraverso due survey erogate tra ottobre-novembre 2020 e febbraio 2021, sono stati presentati il 18 febbraio durante il web talk organizzato da Federmanager in collaborazione con l’Osservatorio 4.Manager e Esgr. L’intervista a due riprese ha permesso di fare un confronto tra le risposte della prima e della seconda ondata e vedere come e se (a tre mesi e due Governi di distanza) sono variate le opinioni. Al primo posto come investimento prioritario - per il 74,6 per cento degli intervistati di febbraio, il 3,2 per cento in più rispetto alla prima survey - si conferma la digitalizzazione avanzata delle PA e dei servizi. Sul secondo gradino del podio troviamo gli investimenti nei settori educativi per supportare le competenze digitali (indicati dal 53 per cento del campione). La terza piazza se la aggiudica la diffusione in tutte le regioni italiane di fibra e 5G per imprese, famiglie e PA (per il 47,1 per cento, dato che sale al 52,9 per cento per coloro che lavorano nelle PMI). L’opzione di incentivare l’efficienza energetica e le fonti rinnovabili nei processi produttivi non va oltre il quinto posto nelle preferenze, guadagnandosi il consenso del 43 per cento degli interpellati (in calo di tre punti rispetto alla survey 2020). La sostenibilità tuttavia è ritenuta è un fattore fondamentale per la ripresa: per il 67,1 per cento dei manager non adeguarsi alle direttive significa avere minori spazi sul mercato e subire forti limitazioni all’impresa a causa di normative più rigorose (per il 66,5 per cento). Sulla carta, dunque, la decarbonizzazione dell’economia è ritenuta importante. Ma quando si tratta di decidere dove mettere i propri soldi, le cose cambiano... Federmanager ha raccolto anche i dati sugli investimenti che le aziende intendono fare nella fase post pandemia. Oltre al molto generico dare priorità a nuovi prodotti e servizi e all’immancabile attività di ricerca e sviluppo (rispettivamente il 58,6 e il 30,3 per cento), tra le azioni strategiche per il futuro svetta la trasformazione digitale (35,4 per cento) e la diversificazione del mix di prodotti e servizi (28,4%). Le voci sostenibilità ed economia circolare negli investimenti e nelle attività strategica si aggiudicano rispettivamente il 17,8 e il 19,7 per cento delle risposte. Ma c’è anche un ma. La crisi si fa sentire: il 12 per cento delle aziende non ha in programma alcun investimento e il 10 per cento alcuna azione strategica. “Percepiamo una maggiore preoccupazione verso l’andamento economico - ha commentato Stefano Cuzzilla, presidente Federmanager. I manager mostrano però di avere ben chiare le soluzioni: nel breve termine, sanare il gap tecnologico che esiste nel sistema, non solo nel mondo dell’impresa. Nel medio termine, riconvertire le produzioni verso modelli più sostenibili, che sono gli unici destinati a ripagare l’investimento e a far ritornare competitivi”.
- Cybersecurity nel settore elettrico. Come salvarsi dalla pandemia informatica
Innovazione e digitalizzazione. Si stima che nel 2025 ben 75 miliardi di dispositivi elettrici saranno connessi e condivideranno dati, fornendo una quantità di informazioni e rendendo quindi, allo stesso tempo, sempre più cruciale il monitoraggio, la gestione e il controllo di tali dati. Le nuove tecnologie digitali hanno amplificato il livello di interconnessione, con dispositivi sempre più numerosi e dotati di funzioni avanzate - basti pensare a quelli per la smart home - che richiedono una gestione sempre più articolata delle reti e una particolare attenzione alla sicurezza. Spesso erroneamente data per scontata e certa, l’energia elettrica è il motore dell’economia e della nostra vita quotidiana. Un’interruzione può avere conseguenze significative - a voltre drammatiche - in settori cha spaziano dai trasporti alla finanza o alle comunicazioni, fino a toccare il riscaldamento degli edifici, la cottura dei cibi o l’approvvigionamento idrico. Senza adeguate misure di cybersecurity potrebbe essere violato l’accesso ai sistemi, si potrebbero subire interruzioni di alimentazione, con effetti a cascata ai sistemi interconnessi e ai servizi energetici. La digitalizzazione, infatti, se da una parte rende il sistema più intelligente, garantendo benefici agli operatori e agli utilizzatori in termini di efficienza, fa aumentare nel contempo l’esposizione a possibili attacchi informatici che possono minare la sicurezza dell’approvvigionamento energetico, oltre che violare la riservatezza dei dati degli utenti. Del ruolo cruciale della sicurezza informatica nello sviluppo e nella manutenzione del settore elettrico si parlerà il prossimo 2 marzo nel webinar Cybersecurity OT, focus sul settore elettrico organizzato da CESI - società leader mondiale di consulenza tecnica e ingegneria nel campo della tecnologia e dell’innovazione per il settore dell’energia elettrica - in collaborazione con l’azienda americana EnerNex. Davide Piccagli, Automation & Innovative Solutions Product Leader di CESI, e Kay Stefferud, Director of Implementation Services di EnerNex, analizzeranno gli standard e le normative statunitensi ed europee per le infrastrutture critiche, con un focus dedicato al settore elettrico, soffermandosi su quelle iniziative da mettere in atto per soddisfare i requisiti di protezione informatica nello sviluppo e nella manutenzione dei sistemi OT del settore elettrico. Apply to webinar
- Codazzi (CESI): “Idrogeno, risorsa importante nella transizione energetica”
“Tra dieci anni potremmo trovarci nella condizione di avere una quota rilevante di energia prodotta da rinnovabili che rischia di non essere sfruttata appieno, nonostante l’implementazione di misure quali batterie utility-scale e impianti peakers”. Inizia con questa riflessione l’editoriale di Matteo Codazzi - CEO di CESI – sul numero in distribuzione di Nuova Energia. Un’opportunità nell’ottica della transizione energetica per sfruttare questo potenziale è la produzione di idrogeno verde. “Attraverso elettrolizzatori – continua Codazzi – che utilizzano proprio le rinnovabili, si può produrre a partire dall’acqua un idrogeno maggiormente funzionale al processo di decarbonizzazione e che potrebbe trovare applicazione in diversi ambiti”. Uno è proprio la riconversione dell’idrogeno in energia, un modo per utilizzare l’energia rinnovabile nei momenti in cui questa risulta in eccesso rispetto alla capacità del sistema elettrico di ritirarla e utilizzarla. Non solo; una volta stoccato potrebbe essere utilizzato per la generazione di energia pulita nei periodi con meno disponibilità di rinnovabili, sfruttando pipeline e impianti a gas già attivi, con appositi retrofit per bruciare idrogeno. Ma, ad oggi, un freno è ancora rappresentato dai costi. “Una delle principali barriere all’utilizzo dell’idrogeno verde - conclude Matteo Codazzi - deriva dagli elevati costi degli elettrolizzatori, che lo rendono ancora non competitivo rispetto al cosiddetto idrogeno nero, prodotto da fonti fossili”. Le previsioni però sono incoraggianti, presupponendo anche per questa tecnologia l’andamento a cui stiamo assistendo con le batterie, che si stima possano avere al 2030 costi inferiori del 70 per cento rispetto a quelli attuali.
- Delfanti (RSE): “Ridurre la bolletta? Necessario agire su tutte le voci di costo”
Quando si parla di sfide legate alla decarbonizzazione al 2050, il quadro è noto. Il Green Deal europeo richiede una transizione che si estrinseca in molteplici dimensioni e direzioni: dalla protezione dell’ambiente alla competitività economica, dalla coesione sociale al contrasto ai cambiamenti climatici e alla riconversione energetica. L’obiettivo condiviso è quello di portare la sostenibilità ambientale in tutte le politiche pubbliche, interessando ogni ambito della società; il problema dunque non è meramente energetico, ma investe tutti i settori. “Un obiettivo così sfidante può essere affrontato solo in un’ottica di sistema. È necessario tenere insieme competitività e ambiente, sicurezza e qualità della fornitura energetica”. Così ha esordito Maurizio Delfanti, amministratore delegato di RSE, durante l’audizione presso la X Commissione Industria del Senato. L’affare assegnato all’azienda guidata da Delfanti non è su un tema da poco: razionalizzazione, trasparenza e struttura di costo del mercato elettrico ed effetti in bolletta in capo agli utenti. “Per contenere gli importi della bolletta energetica è essenziale agire in maniera ottimale su tutte le voci di costo, massimizzando il rapporto fra i benefici apportati al sistema e i costi che questi benefici comportano”. Ma per agire sui costi è indispensabile conoscerli. Analizzando nel dettaglio le voci che compongono la fattura energetica per un utente domestico tipo, la composizione percentuale vede la componente energia al 46 per cento, mentre gli oneri di sistema e di rete rappresentano rispettivamente il 21 e 20 per cento del totale. Il resto (13 per cento) sono imposte. “Pur essendo la voce energia maggioritaria – ha concluso Delfanti - è opportuno che l’azione di regolazione si estrinsechi su ciascuna voce, perché tutte hanno un impatto significativo”. Il valore complessivo delle voci che compongono la bolletta per un utente domestico tipo ha subito diverse oscillazioni negli ultimi quattro anni. Si è passati dai 185 euro/MWh del 2016 ai 204 euro/MWh del 2018. Oggi è pari a 201 euro/MWh. Nel corso dell’audizione presso la X Commissione Industria del Senato - sulla struttura del mercato elettrico e sui conseguenti effetti in bolletta per gli utenti - Maurizio Delfanti, amministratore delegato di RSE, ha dato alcuni spunti per far evolvere il prezzo nel contesto della sostenibilità. “Per quanto riguarda la componente energia - quantitativamente la più significativa - sono due le azioni che si potrebbe mettere in campo: operare con prezzi dinamici e procedere con un progressivo superamento del PUN (Prezzo Unico Nazionale)”. Esiste da tempo sul mercato italiano la possibilità per i clienti di accedere a offerte che prevedono una valorizzazione del prezzo dell’energia differenziato per fasce orarie. Nella sostanza, però, le differenze tutto sommato esigue tra i valori espressi dalle diverse fasce non sono in grado di fornire un segnale di prezzo sufficiente a stimolare un comportamento attivo dell’utente. Che fare dunque? “L’idea è quella di far sì che il segnale di prezzo rifletta il più fedelmente possibile il valore dell’energia in quel determinato intervallo temporale e nella porzione del sistema elettrico in cui il consumo avviene. In altri termini, è necessario introdurre segnali locazionali che leghino in modo più preciso il prezzo pagato dal cliente finale rispetto al prezzo che la commodity energetica ha in quel punto nel tempo e, soprattutto, in quel punto dello spazio”. L’attuale sistema in vigore sul Mercato del Giorno Prima, con l’applicazione del Prezzo Unico Nazionale agli acquisti di energia, non soddisfa tali requisiti perché sterilizza di fatto questi segnali dal punto di vista geografico. “Per questo - suggerisce Delfanti - sarebbe opportuno un graduale superamento del PUN, anche affiancato a un progresso nelle infrastrutture di rete, in favore di un mercato zonale puro o addirittura nodale”.
- Uno scatto in bianco e nero
Nel 2020 il comparto delle utility, nonostante l’impatto dalla crisi generata dalla pandemia, è stato uno dei settori più resilienti del sistema produttivo nazionale. Non tutte le performance economico-finanziare si sono dimostrate positive, vista la frenata della produzione industriale che ha determinato un drastico calo della domanda di energia e dei servizi annessi. Secondo quanto emerge dallo studio 2020 sullo stato di salute economica e finanziaria dei principali player energetici, per gli operatori italiani si stima una sensibile contrazione dei ricavi aggregati, passati da 193,6 miliardi di euro del 2019 a 173,5 miliardi di euro del 2020, con una riduzione del 10,4 per cento. A incidere maggiormente sulla performance negativa è il cluster dei gruppi energetici (-12,2 per cento) mentre è molto più contenuto il calo per le multiutility (-2,1 per cento). Gli operatori di rete sono gli unici a presentare una crescita attesa dei ricavi (+4,8 per cento). Questa la fotografia scattata dall’Osservatorio Utilities Agici - Accenture, giunto alla sua XXI edizione. Ma che faccia avrà il futuro di un settore destinato a mutare già dal 2021? I player italiani nei loro Piani strategici hanno programmato complessivamente investimenti pari a circa 65 miliardi di euro per il periodo 2021-2023 (in media 22 miliardi di euro l’anno, con una crescita di oltre il 40 per cento). Oltre che alle reti, a cui sarà destinata la maggior parte delle risorse pianificate, i progetti sono orientati allo sviluppo di business legati al trattamento dei rifiuti e al riciclo di materia in ottica di economia circolare, senza dimenticare la generazione da FER e la digitalizzazione. È anche in atto una revisione delle strategie di investimento e di gestione del portafoglio delle aziende dell’oil e del carbone, mentre tra gli elementi trainanti per la ripartenza emerge il crescente ruolo del gas naturale, dei sistemi di storage e dell’idrogeno a garanzia della stabilità e flessibilità del settore elettrico. Questo perché la maggior parte delle utility, sia italiane che europee, non intende lasciarsi sfuggire l’occasione di svolgere un ruolo centrale nel settore energetico, ossia quello di garantire la stabilità del sistema elettrico. “Transizione energetica e sostenibilità sono le parole chiave che emergono dallo studio - ha dichiarato Claudio Arcudi, Responsabile Energy & Utilities di Accenture Italia - e accelerare su questi due temi significa accelerare la ripresa economica del Paese. È rilevante infatti che all’interno degli investimenti previsti dal PNRR, circa 70 miliardi siano destinati nell’ambito allargato della transizione energetica: ciclo idrico, idrogeno, mobilità sostenibile”. Utility che possono quindi diventare a pieno titolo il motore della ripartenza economica, creando ad esempio nuovi servizi digitali orientati alla sostenibilità e all’efficienza; un modo per coinvolgere la pubblica amministrazione e le piccole e medie imprese, sviluppandone allo stesso tempo la competitività. “Per le PMI - sottolinea Claudio Arcudi - basti pensare a efficienza energetica, autoproduzione rinnovabile, mobilità sostenibile, ciclo idrico e ciclo rifiuti con rete di sensori digitali e soluzioni digitali per servizi gestionali, di pagamento e bancari. Per la PA si parte dai percorsi culturali intelligenti, dalla sicurezza del patrimonio culturale e illuminazione artistica, fino alle reti intelligenti per la logistica”. Importante a riguardo anche il segnale che giunge da oltreconfine, dove gli investimenti aggregati programmati dagli operatori europei per il periodo 2021-2023 ammontano a oltre 174 miliardi di euro. Massimo Ventura