Non proprio un fulmine a ciel sereno, ma certamente le dimissioni di Herbert Diess da presidente del Consiglio di gestione - e dunque amministratore delegato - del Gruppo Volkswagen anche nelle modalità sono parse perlomeno impreviste.
Herbert Diess
Questo viste anche le poche ore trascorse dal post su LinkedIn, con ringraziamenti e auguri per le vacanze, e il comunicato ufficiale del Consiglio di Sorveglianza con l’annuncio della sostituzione di Diess, 63 anni, con Oliver Blume, già a capo di Porsche, che incidentalmente è anche la società con le migliori performance del Gruppo. Blume salirà sul ponte di comando dal 1° settembre, ma continuerà a mantenere la guida di Porsche.
L’operato di Diess era da tempo sotto esame e il suo ruolo era stato già significativamente ridimensionato dopo il duro scontro con i rappresentanti dei lavoratori e in particolare con Daniela Cavallo, presidente del consiglio di fabbrica.
Parte importate delle divergenze, la scommessa su un futuro del Gruppo quasi tutto elettrico che si è subito scontrata con difficoltà produttive e strategiche a cui Diess non ha saputo porre rimedio in fretta. Ad affossarlo definitivamente, dopo i problemi di approvvigionamento di microchip, semiconduttori e cablaggi, sono stati i crescenti problemi della divisione informatica Cariad responsabili di gravi ritardi nel lancio di nuovi modelli, mettendo addirittura a rischio la pianificazione.
Diess, anche se con qualche (tardivo?) passo indietro compiuto a inizio anno, era tra le figure apicali dei grandi produttori europei senz’altro quello più entusiasta della rivoluzione elettrica.
Il più giovane Oliver Blume, 54 anni, che ha sempre lavorato in Volkswagen dove è stato anche a capo della pianificazione della produzione di tutto il gruppo, pur ribadendo l’impegno sull’elettrico ha sempre sostenuto la necessità di lavorare su moderni motori endotermici percorrendo entrambe le strade, ricordando anche solo pochi giorni fa come i divieti tecnologici frenano l'innovazione. Da qui l’impegno di Porsche per i carburanti sintetici, peraltro da sempre studiati in Germania.
Porsche, come Lamborghini, Bugatti e Bentley, naturalmente può permettersi diversificazioni e investimenti più ardui per i marchi del gruppo Volkswagen, ma pare difficile che la famiglia Porsche-Piëch, che detiene la maggioranza di diritto di voto, nell’avvicendamento non abbia tenuto conto anche della visione di Blume.
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