Alla fine, nonostante le proteste sollevate da più parti, a cominciare dalle associazioni di categoria, il decreto-legge 115 Misure urgenti in materia di energia, emergenza idrica, politiche sociali e industriali, meglio noto come Aiuti bis, che entra in vigore oggi, 10 agosto, ha confermato la sospensione delle modifiche unilaterali dei contratti di fornitura di energia elettrica e gas naturale.
La finalità della norma è chiaramente quella di proteggere i consumatori. Tuttavia, non sempre basta perseguire il bene per ottenerlo.
Fino al 30 aprile 2023 - recita l’articolo 3 - è sospesa l’efficacia di ogni eventuale clausola che consente all’impresa fornitrice di energia elettrica e gas naturale di modificare unilateralmente le condizioni generali di contratto relative alla definizione del prezzo, ancorché sia contrattualmente riconosciuto alla controparte il diritto di recesso. Fino alla stessa data - recita l’articolo 4 - sono inefficaci i preavvisi comunicati prima della data di entrata in vigore del decreto, a meno che le modifiche contrattuali si siano già perfezionate.
La gravissima situazione energetica europea è ormai nota a tutti, come anche l’esponenziale crescita dei prezzi all’ingrosso dell’energia elettrica e del gas naturale, iniziata, è vero, prima dell’invasione dell’Ucraina, ma acuita dallo scoppio del conflitto.
Di fatto, per gli operatori era impossibile prevedere incrementi così elevati e per così lungo tempo, e dunque è facilmente comprensibile come la gran parte dei contratti di fornitura sottoscritti da tempo - tanto più se a prezzo fisso - siano ormai diventati antieconomici.
Da qui la sofferta decisione dei fornitori di modificare le condizioni contrattuali, con l’elevata probabilità di perdere il cliente. Potare dei rami, dunque, per salvare la pianta. Obbligare i fornitori ad operare in perdita, infatti, li espone inevitabilmente - e letteralmente - a rischio fallimento.
Con la conseguenza che i consumatori, rimasti senza fornitore, si troverebbero comunque a pagare direttamente prezzi maggiori, o indirettamente tramite misure di socializzazione.
Vi è poi - sempre limitandoci ai sommi capi della questione - il fatto delle tempistiche: da un lato, l’articolo 4 ha efficacia retroattiva, e questo è sempre un problema; dall’altro, la stessa data del 30 aprile 2023 è troppo in là nel tempo per essere nella più parte dei casi efficace. Gli operatori, infatti, potranno comunque esercitare il diritto di recesso 6 mesi prima della decorrenza per i clienti domestici oppure in bassa tensione o con consumi di gas naturale non superiori a 200.000 metri cubi/anno; e comunque secondo decorrenza contrattuale per tutti gli altri, per i quali però le modifiche sono sovente già avvenute.
In verità, il decreto penalizza quegli operatori che hanno resistito fino ad ora proprio per non penalizzare il cliente.
Infine, trattandosi di un decreto-legge, non sono da escludersi correttivi in sede di conversione. Sperando - complice la pausa agostana - che non arrivino troppo tardi.
a.s.
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