La massiccia penetrazione delle fonti energetiche rinnovabili nel sistema elettrico richiede nuove risorse di flessibilità. Produrre idrogeno può rappresentare una soluzione complementare e in parte alternativa all’accumulo elettrico. Inoltre, quando non è possibile l’elettrificazione dei consumi, per la decarbonizzazione in alcuni settori l’idrogeno è la principale alternativa.
Ma come potrà realizzarsi la piena integrazione tra diversi vettori - elettricità, idrogeno e altri gas rinnovabili - nel sistema energetico italiano al 2030 e al 2050? E cosa ne pensa in proposito il comparto industriale italiano? Alcuni spunti interessanti sono emersi durante la tavola rotonda a margine del convegno organizzato da Anie Energia e RSE - Ricerca sul Sistema Energetico per presentare lo studio Il vettore idrogeno. Stato dell’arte e potenzialità dell’industria italiana.
“A tendere ci sarà necessità di import di idrogeno - ha dichiarato Xavier Rousseau, Senior Vice President Strategy di Snam. È impossibile che tutta la domanda futura possa essere coperta da fonti di produzione nazionali. Altro elemento determinante sarà lo stoccaggio, tassello fondamentale che sposta nel tempo oltre che nello spazio l’impiego del vettore”.
Per Ruggero Bimbatti, Head of Asset Development di Italgas, “oggi i distributori di gas hanno grande opportunità di cogliere il passaggio verso la low carbon economy sfruttando al massimo le infrastrutture esistenti”. Si tratta di una sfida che richiede di passare da un’attività in cui un unico vettore andava da monte a valle, a un nuovo modo di gestire la stessa infrastruttura, che dovrà essere pronta a ricevere lungo tutta la rete diversi tipi di gas. “Stiamo spingendo nel percorso di digitalizzazione delle nostre reti, prerequisito indispensabile per pensare di gestire miscele di gas rinnovabili”.
L’industria chimica, rappresentata da Renato Migliora in rappresentanza di Federchimica, chiede aiuto sui CAPEX ma anche sugli OPEX. Il costo dell’energia è infatti una componente fondamentale: “Gli USA danno un contributo alla produzione di idrogeno, come pure l’UK: ci aspettiamo lo stesso nel nostro Paese”. E aggiunge una provocazione. La materia prima con cui si produce l’idrogeno è l’acqua dolce; di questa, a livello globale, ne abbiamo il 3 per cento. L’Europa stessa è in grossa sofferenza idrica. “Produrre idrogeno dall’acqua marina sarebbe un grosso salto in avanti”.
Dalla chimica alla siderurgia, altro settore hard-to-abate. Oltre ad essere hard-to-die, duro da uccidere, secondo la definizione di Flavio Bregant, direttore generale di Federacciai. Che offre alla platea questo spunto: probabilmente si arriverà ad avere necessità di import di H2 - i tedeschi hanno già oggi eccedenza di energia rinnovabile da eolico offshore. “Avremo un problema di certificati di origine. Sarà da evitare che questi abbiano un valore e un mercato separato da quello delle FER e dell’idrogeno; errore fatto con le quote di emissione di CO2, che hanno un mercato parallelo oggetto di speculazioni finanziarie”.
Claudio Marcantonini, funzionario di ARERA, ha posto l’accento su una difficoltà: quella di parlare della regolazione di un settore che di fatto non esiste (ancora) e per il quale permane una serie di incertezze su come, quando e dove si svilupperà. Ci sono dei principi regolatori base - unbundling, accesso non discriminatorio alle infrastrutture, tutela dei consumatori, monitoraggio e trasparenza nei costi - ma non è facile introdurre una regolazione in un settore che di fatto non c’è. “Attraverso la raccolta di dati ed esperienze, ARERA tende a sviluppare regolazione e innovazione tramite i progetti pilota, testando insieme le tecnologie e il relativo aspetto regolatorio: cosa della regolazione attuale va cambiato affinché si possa aiutare lo sviluppo tecnologico. Grande attenzione va data all’analisi costi-benefici anche nel lungo termine, perché qualsiasi scelta ricade poi sulle spalle dei cittadini e viene pagata dai consumatori”.
Dulcis in fundo, l’intervento da remoto - ma con grande presenza di spirito - dell’ingegner Mauro Mallone, Direttore Generale Incentivi Energia del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE).
“Come Ministero diamo particolare importanza allo sviluppo del vettore idrogeno e - pur muovendoci con cautela - ne promuoviamo produzione e utilizzo, supportando le decisioni delle imprese. Ci muoviamo con la dovuta prudenza, cercando tuttavia di accelerare lo sviluppo di tecnologie e accompagnando le scelte degli operatori”.
Solo il PNRR destina 3,6 miliardi di euro allo sviluppo della filiera dell’idrogeno. “Devo ammettere che ero il primo ad avere qualche preoccupazione circa il reale riscontro che avrebbe avuto il bando da 450 milioni di euro per le Hydrogen Valley in aree industriali dismesse, ma la risposta delle 15 Regioni che hanno chiuso in questi giorni la raccolta delle manifestazioni di interesse corrisponde a proposte di valore ben superiore al budget disponibile”. In molte di esse, a fronte di stanziamenti medi di 20 milioni per ciascun ente, sono pervenute richieste nell’ordine dei 100-120 milioni di euro.
Per questa ragione, a breve il MASE avvierà una nuova procedura per assegnare all’idrogeno risorse aggiuntive, provenienti da Mission Innovation e pari a 140 milioni di euro.
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