La transizione energetica, necessaria per conseguire gli obiettivi di decarbonizzazione, rappresenta una sfida per tutti. In questo scenario, l’eolico offshore flottante può dare molto al nostro Paese (e per l’Italia è una scelta obbligatoria, data la profondità dei nostri fondali). Ma per dare concretezza al promettente futuro della tecnologia occorre promuovere una filiera nazionale, sostenendo nel tempo un sistema industriale italiano.
Un lunedì milanese di metà settembre, grigio e gocciolante, complicato dallo sciopero dei mezzi pubblici. Il contesto sembra però non aver scoraggiato gli operatori dell’eolico offshore riuniti al Palazzo delle Stelline per il convegno Eolico offshore galleggiante: le opportunità di crescita della filiera italiana organizzato da Elettricità Futura e ANIE Federazione.
Venti minuti prima dell’avvio dei lavori in tanti sono già seduti, occupando i posti migliori (che, come si impara a scuola, non sempre sono in prima fila). Il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin indirizza un simpatico video-messaggio di saluto alla sala gremita (oltre 300 partecipanti in presenza), certo che “dall’incontro arriveranno spunti e proposte”. Siamo qui per verificarlo.
“Le profondità del Mediterraneo non consentono l’ancoraggio delle turbine sui fondali e richiedono sistemi galleggianti, su cui l’Europa ha un ruolo di leadership - esordisce Filippo Girardi, presidente di ANIE. Determinante sarà il fattore tempo: la sinergia fra gli attori della filiera e il sincronismo dei loro investimenti in un quadro normativo che agevoli le iniziative”.
Per il presidente di Elettricità Futura, Agostino Re Rebaudengo, che interviene a distanza, “disporre di un quadro autorizzativo efficace aiuterà lo sviluppo di un settore che promette importanti sinergie tra due eccellenze del Made in Italy: la filiera nazionale dell’eolico e il comparto manifatturiero italiano”.
A Cosetta Viganò, responsabile Regolatorio di Elettricità Futura, è affidato il compito di delineare il contesto di riferimento, le problematiche e le prospettive dell’eolico offshore con un focus su normative e aspetti regolatori. La parola chiave resta permitting. “È necessario un quadro regolatorio chiaro per sbloccare gli investimenti”. La tecnologia è giovane ma estremamente promettente: l’eolico flottante è installabile in aree a maggiore ventosità, lontano dalla costa - con minore impatto a diversi livelli e quindi maggiore accettabilità.
“L’iter autorizzativo è lungo e complesso - prosegue Cosetta Viganò - e i costi di investimento ed esercizio sono molto elevati. Il quadro di riferimento è ancora molto incerto, anche per l’integrazione degli impianti nella rete”.
Tra le criticità segnalate per questa tecnologia, gli obiettivi non sono del tutto allineati e congruenti tra loro: 2,1 GW di eolico offshore previsti dal PNIEC sono molto distanti da quello che può essere l’effettivo potenziale. Da rivedere anche gli schemi di sostegno introdotti dal FER II, che prevedono per queste tecnologie un contingente di 3.800 MW e una tariffa di riferimento pari a 185 euro/MWh per una vita utile convenzionale fissata in 25 anni.
“Serve adottare con urgenza il decreto FER II - conclude Cosetta Viganò - con alcuni correttivi: contingenti più adeguati - almeno 10 GW - e una spinta più forte per la tecnologia floating”.
Rimane nel campo della visione degli investitori in progetti offshore floating Mattia Cecchinato, senior advisor Offshore Wind di Wind Europe, allargando però lo sguardo al panorama europeo. “Il settore è molto dinamico. Ad oggi in Europa ci sono 32 GW di eolico offshore connessi in rete in 13 Paesi, per un totale di 129 wind farm e 6.166 turbine. La maggior parte è bottom fix”.
Guardando al 2030, la prospettiva di crescita è ancora più forte: 150 GW di offshore wind. Questo significa che la capacità produttiva europea di turbine offshore dovrà arrivare almeno a 20 GW anno (oggi è 7 GW). Idem per i lavoratori diretti: nel settore eolico sono 77.000, se ne attendono almeno 250.000 al 2030. Stesso discorso per la capacità produttiva annua di cavi, che va estesa dai 1.900 km di cavi del 2023 ad almeno il doppio entro il 2030.
“Per realizzare tutto questo - conclude Cecchinato - occorre abbassare i costi attraverso l’industrializzazione, che significa soprattutto standardizzazione. L’eolico offshore è ancora una storia europea ma la competizione dalla Cina sta diventando forte. I produttori cinesi offrono prezzi più bassi e condizioni molto vantaggiose”.
Le misure annunciate da Ursula von der Leyen nel suo ultimo discorso sullo Stato dell’Unione e che saranno contenute nel nuovo Wind Power Package dovrebbero “aiutare i Governi degli Stati membri a dare condizioni sane” - una filiera sana - in cui il settore potrà svilupparsi: dunque, privilegiare non solo la migliore offerta economica ma l’extra-valore che questi progetti possono portare e far sì che la produzione resti in Europa.
E per quanto riguarda una possibile filiera italiana? “Non è un gioco da ragazzi”. Frena gli entusiasmi l’ingegner Luigi Severini, presidente iLStudio Engineering & Consulting. “C’è una pericolosa sottovalutazione del problema”. Severini parte da un dato: il nostro Paese ha solo 30 MW installati (e un obiettivo di 2,1 GW al 2030) contro i 14 GW del Regno Unito che ha un target al 2030 di 50 GW e gli 8 GW della Germania (obiettivo 2030, 30 GW).
Per quanto riguarda l’eolico flottante, poi, il nostro sistema metalmeccanico è localizzato male. “La logistica industriale posizionata nell’entroterra è fuori combattimento - prosegue Severini. Occorrerebbero piastre logistiche portuali fortemente attrezzate per la movimentazione, ma i porti non possono ospitare cantieri”. Le Autorità portuali italiane non possono concedere aree per la costruzione dei floater e, in ogni caso, nelle movimentazioni privilegiano l’operatore marittimo perché genera traffico.
“Dovremmo installare 6.000 turbine/anno, con una produzione che non può essere pensata in serie - conclude Severini. O il sistema industriale Italia si muove, o saremo semplicemente clienti di tecnologie e forniture estere, in primis della Cina”.
Entusiasmo sì, ma dobbiamo organizzarci e strutturarci.
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